venerdì 23 aprile 2010

Cassa Integrazione Guadagni: mancato rispetto dell'obbligo di rotazione.


Le scelte dell´imprenditore su chi fare oggetto della cassa integrazione devono rispettare i divieti di non discriminazione e le regole della correttezza e buona fede. Vi è però un obbligo a negoziare con i sindacati nella fase di consultazione prevista dalla legge.

La Giurisprudenza dei Giudici del lavoro ha affermato che la mancanza di comunicazini alle organizzazioni sindacali dei criteri di scelta da parte dell´imprenditore comporta  l´illegittimità del provvedimento amministrativo di ammissione del trattamento di integrazione salariale e delle sospensioni dal lavoro ad esso connesse. Dunque, in tal caso, il datore è tenuto a corrispondere ai lavoratori la normale retribuzione.

Se l´impresa ritenga di non poter adottare i meccanismi di rotazione per ragioni tecniche-organizzative, ne deve indicare i motivi nel programma che accompagna la richiesta al Ministero del Lavoro di intervento della CIG.

giovedì 22 aprile 2010

Quali sono gli elementi essenziali del contratto a progetto?


Il contratto a progetto è caratterizzato da una collaborazione coordinata e continuativa, ma prevalentemente autonoma del soggetto che la svolge, che deve necessariamente risultare funzionale alla realizzazione di uno o più progetti, secondo le indicazioni risultanti dal contratto di lavoro, da stipularsi in forma scritta. I progetti sono determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato e indipendentemente dal tempo impiegato per l´esecuzione dell´attività lavorativa.


La prestazione del collaboratore è prevalentemente personale. Essendo la prestazione legata ad un progetto esso è un contratto necessariamente a termine: si risolverà alla data indicata nel contratto o alla realizzazione del progetto.
Non c´è un limite temporale alla stipulazione di contratti a progetto.

Il lavoratore a progetto gode solo di alcuni dei diritti spettante ad un normale lavoratore subordinato:
-deve essere specificato nel contratto i tempi e le modalità di
pagamento;

-il preavviso del recesso;
-il processo del lavoro;
-la tutela economica della maternità;
-la tutela economia degli infortuni sul lavoro;
-la tutela economia della malattia;
-la normativa sulla sicurazza ed igene nei locali lavorativi;


COME FACCIO A TRASFORMARLO IN UN CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO A TEMPO INDETERMINATO?
Anche con la nuova formulazione del contratto a progetto, non pare scongiurata l´eventualità che questi tipi di contratti (come i vecchi co.co.co.) siano utilizzati abusivamente in funzione sostitutiva di rapporti di lavoro subordinato per via del miglior trattamento contributivo a cui il datore deve sottostare.

Sarà possibile chiedere al Giudice del Lavoro competente, in tempi brevi, la conversione del contratto a progetto in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato quando non sussistano le caratteristiche di autonomia e del lavoratore a progetto, ma piuttosto sussistano tutte le peculiarità (subordinazione economica-organizzativa, presenza di un rigido orario di lavoro, penetranti controlli da parte del datore, imposizione continua di ordini etc.) di un normale rapporto di lavoro subordinato.

Che cos’è il mobbing?


Il mobbing è quell'insieme di atti e comportamenti posti in essere deliberatamente e ripetutamente nel tempo dal datore di lavoro o dai superiori (mobbing verticale), ovvero dai colleghi di pari livello o subalterni (mobbing orizzontale), nei confronti di un soggetto designato, tali da porlo in una condizione di estremo disagio caratterizzata da isolamento che può danneggiare l'integrità psico-fisica del lavoratore in modo transitorio o, nei casi più gravi, permanente, e spesso tale da indurlo alle dimissioni.


Per potersi parlare di mobbing, l'attività persecutoria deve durare più di 6 mesi e deve essere funzionale alla espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) ad andamento cronico.


Va peraltro sottolineato che l'attività mobbizzante può anche non essere di per sé illecita o illegittima o immediatamente lesiva, dovendosi invece considerare la sommatoria dei singoli episodi che nel loro insieme tendono a produrre il danno nel tempo. In effetti, l'ingiustizia del danno, vale a dire dell'evento lesivo non previsto né giustificato da alcuna norma dell’Ordinamento giuridico, deve essere sempre ricercata valutando unitariamente e complessivamente i diversi atti, intesi nel senso di comportamenti e/o provvedimenti.


Ad esempio: sottrazione ingiustificata di incarichi o della postazione di lavoro, dequalificazione delle mansioni a compiti banali (fare fotocopie, ricevere telefonate, compiti insignificanti, dequalificanti o con scarsa autonomia
decisionale) così da rendere umiliante il prosieguo del lavoro; rimproveri e richiami, espressi in privato ed in pubblico anche per banalità; dotare il lavoratore di attrezzature di lavoro di scarsa qualità o obsolete, arredi scomodi, ambienti male illuminati; interrompere il flusso di informazioni necessario per l'attività (chiusura della casella di posta elettronica, restrizioni sull'accesso a internet); continue visite fiscali in caso malattia (e spesso al ritorno al lavoro, la vittima trova la scrivania sgombra). Insomma, un sistematico processo di "cancellazione" del lavoratore condotto con la progressiva preclusione di mezzi e relazioni interpersonali indispensabili allo svolgimento di una normale attività lavorativa. Altri elementi che fanno configurare il mobbing, possono essere "doppi sensi" o sottigliezze verbali quando si è in presenza del collega oggetto di mobbing, cambio di tono nel parlare quando un superiore si rivolge al collega vittima, dare pratiche da eseguire in fretta l'ultimo giorno utile.

Il lavoratore, con l’ausilio del proprio legale di fiducia, potrà farsi riconoscere dal Giudice il giusto risarcimento del danno biologico (i c.d. danni da mobbing).

lunedì 12 aprile 2010

E' possibile opporsi al trasferimento intimato dal datore di lavoro?


La disciplina prevista per il trasferimneto del lavotatore da una unità produttiva ad un'altra della medesima azienda, prevede che possa essere attuato dal datore di lavoro solo in presenza di "comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive".


Ciò vuol dire che un dipendente può esser trasferito solo a condizione che il datore di lavoro possa dimostrare:

-l'inutilità di tale dipendente nella sede di provenienza;

-la necessità della presenza di quel dipendente, con la sua particolare professionalità, nella sede di destinazione;

-la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel dipendente e non su altri colleghi che svolgano analoghe mansioni.


Il giudice deve verificare l’effettiva presenza delle ragioni e l’esistenza di un nesso di causalità tra queste e il provvedimento adottato: non è richiesta la prova circa la inevitabilità del trasferimento.

Salva diversa indicazione del contratto collettivo, il datore di lavoro non ha l'onere di indicare nell'atto di trasferimento le ragioni tecniche, organizzative e produttive poste a fondamento del trasferimento stesso.

L'onere di indicare tali ragioni, infatti, sorge solo ove il lavoratore ne faccia richiesta.
In tal caso, pena la inefficacia del trasferimento, comunicare i motivi del trasferimento entro 5 giorni successivi dalla richiesta del lavoratore.


Il lavoratore a fronte di un trasferimento assunto in carenza dei requisiti obiettivi richiesti dall'art. 2103 c.c. e delle altre condizioni eventualmente poste dalla contrattazione collettiva, sul presupposto di un pregiudizio grave ed irreparabile, potrà senz'altro invocare la tutela d'ugenza al fine di ottenere la sospensione del trasferimento e la reintegra nel luogo di lavoro originario (chiedendo al giudice in via d'urgenza, la sospensione del trasferimento e la reintegra nel luogo di lavoro, riservando al merito della causa la pronuncia sulla illegittimità del trasferimento e sul risarcimento degli eventuali danni), senza esporsi al rischio che il datore di lavoro receda dal rapporto di lavoro.


Quali sono i diritti della donna in maternità?


Astensione dal lavoro obbligatoria.
La donna lavoratrice in maternità ha diritto a cinque mesi di astensione dall'attività lavorativa. Sarà la stessa lavoratrice a decidere come spalmare i cinque mesi di astensione nel periodo pre e post parto.
Durante tale periodo la donna riceverà un'indennità, corrisposta dall'INPS tramite il datore di lavoro, pari al 80% della sua retribuzione. Molti contratti collettivi nazionali del lavoro prevedono in capo al datore di lavoro l’onere di integrare il restante 20% affinché la lavoratrice, durante il periodo in commento, riceva la sua normale retribuzione.

Astensione dal lavoro facoltativa.
Dopo la nascita del bambino e dopo la fruizione dell’astensione obbligatoria, sia alla madre come al padre è riconosciuto il diritto ad astenersi dall’attività lavorativa nei primi otto anni di vita del figlio per un massimo complessivo di dieci mesi. Durante questo periodo chi si asterrà dal lavoro riceverà un indennità parti al 30% della normale retribuzione. A questo trattamento possono accedervi sia i lavoratori dipendenti che i soci di cooperativa.
Tali periodi non vengono conteggiati nel calcolo ferie e della tredicesima mensilità. Vengono calcolati ai fini dell’anzianità.


I permessi retribuiti.
Qualora la donna in gravidanza dovesse svolgere esami obbligatori durante l’orario di lavoro avrà diritto a permessi retribuiti.
Dopo la nascita del bambino e fino ad un anno di vita di quest’ultimo, la madre lavoratrice ha diritto a due periodi, retribuiti, di un’ora ciascuno per provvedere all’allattamento. Questi due periodi possono essere cumulati. Qualora la donna non usufruisca di tale previsione il padre potrà, in sostituzione, avvalersene.

I permessi non retribuiti.
Entrambi i genitori hanno diritto ad astenersi dall’attività lavorativa qualora il proprio figlio si trovi in stato di malattia. Tale stato deve essere comprovato da certificato medico.
Se il bambino ha da zero a tre anni, i permessi non retribuiti dei genitori sono illimitati mentre se, il nascituro ha da tre a otto anni, ogni genitore ha un massimo di cinque giorni non retribuiti l’anno.
Tali periodi non vengono conteggiati nel calcolo ferie e della tredicesima mensilità. Vengono calcolati ai fini dell’anzianità.

mercoledì 31 marzo 2010

E' possibile licenziare il lavoratore se non è stato previsto il patto di prova?


Il patto di prova, che può (ma non necessariamente) essere inserito nel contratto di lavoro subordinato, risponde all´esigenza di ambo le parti ed infatti, il lavoratore può approfittare del periodo di prova per presentare le proprie dimissioni senza l´ordinario preavviso e analogamente, godendo delle medesime modalità, il datore di lavoro può rescindere il contratto. Può essere previsto anche nelle assunzioni a termine e deve avere sempre la forma scritta ai fini della validità.

Per essere valido deve essere appositamente sottoscritta da ambo le partiSe il patto di prova non è previsto specificatamente nel contratto di lavoro valgono le ordinarie norme sul licenziamento.

Nel caso in cui il datore rescinda legittimamente il contratto durante il periodo di prova, il lavoratore avrà diritto alla retribuzione per il periodo di effettivo lavoro e inoltre il trattamento di fine rapporto le ferie maturate in proporzione.
Il potere di licenziamento in detto periodo non è esercitato dal datore a sua discrezione, la Corte di cassazione infatti si è espressa affermando che è possibile che il giudice si possa esprimere, tenuto conto della prestazione e le modalità in cui è stata svolta, riguardo il motivo illecito del licenziamento.

La Suprema Corte ha poi confermato che l´esperimento della prova deve riguardare mansioni compatibili con lo stato d´invalidità o di minorazione fisica del lavoratore e che la valutazione della prova non deve essere assolutamente influenzata da considerazioni di minor rendimento dovute all´infermità o alle minorazioni e, nel caso specifico, il datore deve fornire adeguate motivazioni.
Nel contratto di formazione e lavoro è ammissibile il patto di prova purchè la prova abbia ad oggetto non la valutazione di una compiuta capacità professionale, ma solo l´idonetià ad acquisirla.